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Giocondo Rongoni
Il CAPPOTTO BIANCO
Romanzo di Luana Trapè
E’ il romanzo di
Luigi, maestro elementare nato a Fermo, e di Lucia che lo dovrebbe sposare.
Lucìa, promessa sposa per antonomasia…sposi promessi, dell’800 anche loro,
con almeno tre momenti salienti, tre luoghi deputati.
I
La Società Operaia di Mutuo Soccorso di Fermo custodisce in archivio, tra le
altre cose, l’elenco, con l’indicazione del mestiere, delle prime donne
iscritte.
Nel romanzo di Luana, intanto, a pag. 156,
Lucia è intenta proprio a riordinare le cartelle dell’archivio della
Società Operaia, sezione femminile. Anche sua zia è stata invitata ad
iscriversi, ma è già impegnata con le Pie Dame…
E’ un luogo deputato, la Società Operaia, perché una Grande Figura che
campeggia nella sua storia è quella di Giuseppe Garibaldi, proprio come nel
romanzo. Nume tutelare, ispiratore, “protettore”, non sempre da tutti
condiviso. Per qualcuno è infatti un brigante. Dopo la sua morte, Fermo, la
Società Operaia in testa, gli ha tributato imponenti manifestazioni di
cordoglio. L’anno scorso, nell’ambito delle celebrazioni per il bicentenario
della nascita, non è andata così. L’Eroe deve aver perso per via la sua
aura (anche quella popolare, forse, come tanta altra Storia del resto). Ma
è ancora presente, addirittura in tre “versioni”, nel salone dell’Operaia.
E’ anche, in effigie, in una sala del Palazzo dei Priori, un busto che è
opera di Salomone Salomoni, docente di disegno e plastica all’Istituto
d’Arti e Mestieri oggi ITIS. Questo suo Garibaldi si guarda con Vittorio
Emanuele II, “dirimpettaio” per tanti motivi… qui come in tutto il
Risorgimento.
E’ in una lapide, per Via Perpenti; lo si ricorda anche nel romanzo, dove i
due protagonisti ed ovviamente i comprimari, sono partecipi di una Storia
generale oltre ovviamente quella, drammatica, che investe le loro persone.
Con il Risorgimento, si dice nel testo, ormai la poesia è finita, siamo
alla prosa ( il Brigantaggio nelle province meridionali, per es.). Siamo
alle soglie di quel 1876 che segna una svolta nel governo nazionale
unitario. L’Unità d’Italia ’61 arriva dopo i moti carbonari, dopo
l’entusiasmo per il nuovo Papa Pio IX. I Pontifici e i Volontari del ’48,
tra i quali anche Fermani come il Marchese G.I. Trevisani, come Camillo
Silvestri che scrive da Venezia-Mestre al Conte G.B. Gigliucci. Il Conte era
rimasto a Fermo, dove ha dato il suo contributo alla campagna in “solido “
e in cavalli; partecipa anche la moglie inglese, la celebre cantante Clara
Novello, confezionando uniformi. Come è nel romanzo, per la protagonista
femminile, Lucia, mentre si prepara la spedizione dei Mille (p.149)… Anche
questa volta il Conte Gigliucci dà il suo generoso contributo, da Nizza,
dove si è recato in volontario esilio con la famiglia. Partirà volontario
con Garibaldi nel ’66, suo figlio, Mario. L’altro figlio, Giovanni, farà il
’66 nell’esercito regolare. Non bisogna dimenticare che il Conte è stato il
primo deputato fermano al Parlamento Italiano e come Segretario della Camera
ha controfirmato la proclamazione del Regno d’Italia 17 marzo 1861.
Ma tornando al fatidico ’48, è come se il mondo si fosse capovolto
si legge nel romanzo, il momento di gloria per i Nostri è la battaglia di
Cornuda, La battaglia e la difesa di Vicenza, tra il 21 maggio e l’11
giugno. A Cornuda 10000 volontari pontifici, al comando del gen. Ferrari
hanno la peggio contro il doppio degli Austriaci del gen. Nugent. Il gen.
Durando, capo delle truppe regolari pontificie non li ha soccorsi in tempo…
Con la resa di Vicenza, i pontifici lasciano la città al Maresciallo
Radetsky, al gen. Welden. Ci perde la vita il gen. Thurn und Taxis, con
1000 suoi uomini, altrettante le perdite dei nostri. Tra i feriti Massimo
D’Azeglio e il colonnello Cialdini, che con il grado di generale sarà il
“liberatore” delle Marche nel 1860, a Castelfidardo. Intanto, finita
l’avventura della I guerra d’indipendenza e della Repubblica Romana, torna
come “liberato” l’Arcivescovo Principe, De Angelis (De Silvis),
tratto in arresto dal governo democratico repubblicano. Ritorna e fa la sua
vendetta sui liberali più compromessi. Clericali contro liberali (e
viceversa) un leit motiv di tutto il secolo, e oltre. Il conte Gigliucci,
nel suo privato molto religioso è decisamente avverso al potere clericale…
ha sempre militato nella Destra Storica. Arriva il 1870, il XX settembre
1870, e alla vigilia del 1875 la Destra Storica deve cedere il governo
nazionale alla Sinistra. Ha da veni’ Depretis! Certo non è un
castigamatti, pure dovrà portare qualche novità… Per es. che l’istruzione
pubblica non solo non è dannosa, ma deve essere estesa ad un più vasto
strato della popolazione… Luigi, il maestro del romanzo, è convinto che a
scuola si debbano fare gli Italiani. E’ questa profonda convinzione
“progressista”, a perderlo, una volta che si ritrova solo a difenderla,
circondato da persone infingarde, ostili.
Anche l’Autrice è una professoressa; in qualche momento si percepisce una
sua vocazione pedagogica, didascalica; gioca alle etimologie e con il
latino; torna a leggere i versi dell’Eneide, versi amati dal protagonista
(che ha studiato nel ginnasio liceo della città natale, con il prof.
Valentini, ovviamente non quello vero…) che nel momento della disgrazia li
ritrova come versi della desolazione.
II
La scuola è un po’ quella di sempre: il Dirigente può essere un uomo onesto
e capace come il professor Tombari del romanzo, ma più spesso è uno che non
si vuole “compromettere” con chi sta sopra (sopra di grado, di censo e
quant’altro): quieta non movere et mota quietare, il motto ricordato
ne Il Maestro di Vigevano, altra tappa importante della Letteratura e
della Società, soprattutto per il Fermano, diventato il “paese degli
scarpari” ( vedi dello stesso autore, Lucio Mastronardi, Il Calzolaio di
Vigevano). E quando sei isolato, a scuola come altrove, ti può
capitare di tutto. Anche il “ciclone” che investe il maestro Luigi,
protagonista di questo “romanzo di un giovane povero”, per parafrasare un
titolo ottocentesco.
Suo padre è morto nell’assedio di Vicenza, i genitori di lei di colera in
Valle Camonica. Il “tutore” di lui è un nobile reazionario alla Monaldo
Leopardi, con tanto di biblioteca da far crescere il giovane tra i libri,
come l’amato poeta recanatese. La “tutrice” di lei, ridotta a dare lezioni
di pianoforte per sopravvivere alla disgrazia della famiglia, conserva tutti
i limiti e le convenzioni della sua condizione sociale.
Per guadagnarsi da vivere, dopo la rovina
dell’industria di famiglia, Io,Cosino, il protagonista
di un romanzo di Alphonse Daudet ( l’autore del Tartarino di Tarascona
pubblicato a puntate sul Moniteur tra il 1866 e il ‘67,
giusto qualche anno prima de Il Cappotto bianco - come ambientazione
ovviamente…) ha fatto il “maestro di studi”, il pion, (l’istitutore,
il censore) in un collegio francese… a Sarlande, in una vallata stretta tra
le montagne delle Cevenne. L’affaire Boucoyran lo vede alle prese con
l’insolente rampollo di un marchese: ce gringalet de pion, questa
mezza cartuccia di pion mette alla ragione Bucoyran, il forte dei forti.
Può capitare ad un maestro di scontrarsi con un figlio di papà, se lo
“correggi”, poi te la fa pagare…Il Direttore rampogna solennemente di
fronte al Marchese il maestro di studi, che in seguito viene cacciato dal
collegio, ma per un altro affair. Comunque raggiunge il fratello a
Parigi e lì comincia la sua “riconquista”.
III
Il nostro “povero maestro” finisce invece nel manicomio della sua città,
quello che si vede nella copertina del libro, quello a cui l’autrice, con
operatori , artisti e fotografi ha dedicato il volume Il volto che muta –
viaggio attorno all’ex-Manicomio di Fermo (A. Livi editore, Fermo, 2003)
ed una performance, proprio nel cortile dell’ormai dismesso Ospedale
Psichiatrico provinciale, ex Convento dei Frati Minori Osservanti, detti
Zoccolanti, il Convento dell’Annunziata.
C’era già stato in precedenza, per I Cortili dell’Arte di Italia
Nostra, un intervento del dott. Giorgio Ripani con un’idea musicale del
Prof. Piero Marconi, che successivamente, nel chiostro restaurato degli
stessi Frati, a Porto San Giorgio, ha fatto eseguire un quartetto di
Beethoven, in tema, una cosa veramente particolare: convalescente, il grande
musicista ringrazia la divinità per essere stato risanato.
Quanti saranno ri-usciti a ri-sanarsi, nell’ospedale dei pazzi?
Quelli che hanno abitato la via Zeppilli,
compreso il Professor Ernesto, affettuosamente citato “dal vero”
insieme all’infermiere Marcello, ricordano le grida disumane dei
ricoverati.
Ma forse hanno anche potuto assistere alla
prima festa di “apertura” con palloncini e cartapesta, organizzata da un
gruppo di animazione teatrale. Il chiostro del silenzio, anche solo per un
giorno, si anima. Un’istituzione chiusa… per definizione. Come il collegio
di suore dove è stata ospite la Lucia del romanzo, e subito il pensiero
corre a quella straordinaria vicenda umana e letteraria di Dolores Prato, da
Treia: Giù la piazza non c’è nessuno. Una corrispondenza per tutte:
il Venerdì Santo come elemento fondante della religiosità di Luigi, che da
bambino ha visto lo “spettacolo” sulle spalle di un signore: l’Addolorata,
il catafalco, la scannala… Ne sono state esposte diverse, a Fermo,
nelle due mostre dedicate ai Riti della Settimana Santa, immagini
provenienti da tutta Italia e armamentario liturgico locale: soprattutto
quegli ordigni che fanno strepito quando le campane sono mute, “legate”…
nel collegio delle suore le parole in dialetto sono negate: si dice sèdano,
non sèllero, come la bambina Dolores ha appreso dalla sua bambinaia
contadina.
La Repubblica
del 7 Novembre 2008, a 30 anni dalla legge 180, presentazione di un libro:
Corrispondenza negata – Epistolario della nave dei folli, lettere
censurate tra pazienti e le loro famiglie nell’ospedale psichiatrico di
Volterra. Con una testimonianza di Alda Merini. Che in manicomio c’è stata.
L’Autrice di questo romanzo, ha potuto esplorare il sito e quello che ne
rimane. Soprattutto l’archivio. E nella scrittura si tiene alla tragedia,
con un equilibrio narrativo abbastanza sorprendente, data la materia, data
la “terra desolata” che deve aver trovato, con i suoi medici-guida e i
fotografi amici.
Una storia vera, dunque, che nasce dalle carte dell’Archivio dell’ex
Ospedale Psichiatrico: intorno a tre lettere, una storia nella Storia, una
vicenda che in certi momenti prende il lettore catturandolo con lo stesso
climax, lo stesso crescendo di effetti espressivi, che corrisponde al
crescendo della sofferenza che investe il malato, vedi i moti della psiche
di Luigi, una vasta psiche, come scrive E. De Signoribus nel
Congedo della sua raccolta L’acqua domestica…
a occhi chiusi affondi nell’oceano
e affronti una più vasta psiche
intendendo tutti i pensieri che ti vengono addosso, quando stai per prendere
sonno… una posizione a rischio di annegamento, dice ancora lui
stesso. Chi ha letto o leggerà il libro si renderà conto della profondità di
questi versi e della consistenza di questa prosa… nella quale, nota di
lingua e stile, s’impongono alcune similitudini veramente efficaci come
la discesa agli Inferi, al girone infernale che è il manicomio, reparto
Agitati o Furiosi… Bella anche quella…archivistica: come quando in
un’antica pergamena macchie e buchi hanno divorato alcuni vocaboli e in
principio il discorso rimane oscuro… e nella stessa pagina un
“idillio”, un quadretto di marina prelude alla tragedia che nel mare si
consuma… Poi c’è l’ispettore che con un colpo di mani interrompe una danza
e i pazienti danzatori crollano a terra come burattini ai quali abbiano
allentato i fili. Fa così con i suoi personaggi anche chi scrive un
romanzo, solo che non basta battere un colpo con le mani… C’è da inventare,
per esempio un’oasi, un mare… della Tranquillità in pieno manicomio, nel
giardino e/o nella biblioteca. E di lassù il mare, che c’è davvero, laggiù…
in fondo.
Fermo 2008
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