Pensare al femminile

 

 con Matilde Morrone Mozzi,  M. Letizia Perri, Roberto Mancini dell'Università di Macerata.

A cura dell'Associazione per gli studi filosofici. Fermo (AP)

2002

 

Luana Trapè - Le stanze dell’arte

 

Il mio intervento verte su quella particolare forma di pensiero, più precisamente di immaginazione intellettuale, che è l’arte, nell’esercizio della quale immaginazione, intelletto, cuore e realtà non sono affatto disgiunte perché l’immaginare non è in questa accezione fantasticare vacuamente, bensì dare forma e quindi concretezza a ciò che esiste, interiormente, ma non ha corpo.

All’inizio del secolo scorso nella poesia è spesso presente il tema della stanza come spazio fisico e insieme metaforico della mente e del Sé, e della casa come  luogo di separatezza, tantoché la soglia rappresenta ancora il bordo, il margine della differenza al di là del quale è possibile soltanto agli uomini costruire una identità, mentre dentro i dettagli della quotidianità tracciano il palinsesto della discriminazione.

Dice Edith Sodergran

Alle bambine cresciute

viene preclusa la luce

e le si butta in una stanza buia. 

Quando la stanza domestica viene vissuta come una prigione e l’urgenza della comunicazione è prorompente, l’arte può apparire l’unica possibilità di esilio fecondo dal proprio ambiente, terreno metaforico in cui trasferire ansie e conflitti per aprire un nuovo varco, una nuova porta, sempre usando l’intelletto per comunicare.

Uno dei filoni nella scrittura femminile del Novecento è la poesia come canto dell'insoddisfazione, come risarcimento per una vita che non è stata come si voleva: e la soglia della casa si erge a muro contro cui sgorga il “grido inutile" della rassegnazione a una condizione di inferiorità e di esclusione. Si chiede Angela Aymerich:

Quanto vale una donna? A che serve

 una donna che vive in solo grido?

 

Che può fare una donna nella piena

che molti superuomini sommerge ...

... E io, con questi piedi di argilla,

girando le province del peccato,

salendo per le dune, scivolando

fatalmente a causa dei problemi?

 

Che posso fare io, incredula, bisognosa,

solo con questo canto, ostinata

a limare, a far ardere la bocca?

 

Che fare dunque? Rivolgersi all'introspezione intimistica, come Else Lasker Schuler, che annota:

Le ore rintoccano indistinte,

non c’è una quiete totale.

Tutte le amarezze sono spiegabili.

Tutte le gioie noiose

Numerose altre poetesse tessono somiglianti rivoli di canto nell'unica tela del dolore e della solitudine, nella constatazione di essere un neo sulla faccia della terra, una straniera, non voluta, esiliata dalla vita, chiusa nella stanza tutto il giorno... dietro un cancello, a tendere braccia e cuore verso la vita che scorre fuori; in un corsetto che stringe troppo forte, in un corpo che cresce insicuro.

Ma alla rassegnazione si affiancano propositi animosi di azione, di rivolta, pur nella consapevolezza che essi falliranno:

non sono nata per far la ribelle

eppure sono costretta ad esserlo.

Perché il mio destino non è mio soltanto?

(Karin Boye)

C’è purtuttavia chi riesce a spezzare la serratura della soffocante prigione e salta il muro senza possibilità di ritorno, come la Cvetaeva, nella quale la deserta malinconia e il sogno impossibile si tramutano nella fuga reale:

via dall’afa soffocante

delle sale d’attesa per signore, dall'odore

di polpette riscaldate..

Via da questa fatale falsità:

di bigodini, pannolini…

di felicità volgari,

coniugali…

di balie, bagni, bonnes.

Non voglio aspettare l'ultima mia ora

in questa scatola di corpi femminili."

Finché si giunge a comprendere che la vera conquista non è l’attraversare la soglia della casa per non tornare mai più, bensì il fuggire dalla sua immagine-trappola di nido femminile, conquistando al suo interno il diritto a quella stanza tutta per sé rivendicato da Virginia Woolf in un'opera che segna una cesura epocale, risolvendo una volta per tutte il dilemma della specificità della letteratura femminile": si deve dunque scrivere da donna, ma da donna che ha dimenticato di essere tale, lasciar fluire la gelatina rossa di un pensiero emotivo-intellettuale, vivere in presenza della realtà" e udire "il canto del mondo reale, senza più bisogno di ammettere umilmente di essere solo una donna o al contrario protestare di valere quanto un uomo: tutto questo carica la poesia di un nuovo e forte sentire.

Quando viene recuperato uno spazio di identità femminile e il “complesso di Cenerentola", cioè la difficoltà di assumere un ruolo pubblico, è ormai scomparso, allora la lingua delle donne non è più una lingua minore.

Quando è ormai possibile uscire liberamente, ritornare e stare, la soglia della casa (intesa -si diceva prima- come spazio sia fisico che metaforico) non appare più come limite di separazione bensì come tramite, cerniera, ponte tra due ambiti prima rigidamente assegnati per genere: la società, la ragione e la realtà all’uomo, la domesticità, l’inconscio e i sentimenti alle donne. Da ciò scaturiscono numerosi vantaggi e doni per tutti, possibilità di scambio e di riappropriazione, di far fluire liberamente l’interiorità, sottovalutata negli uomini, vilipesa nelle donne. Ciò non vuol dire naturalmente che si debba diventare tutti identici, anzi è bene rimarcare le differenze quando esse portano ricchezza e non scontro distruttivo.

Ritornando ancora alla casa, alla stanza: questi temi nell’arte visiva d’oggi sono rappresentati anche dagli uomini che però, per la tradizionale riottosità ad affrontare di petto i nodi emotivi della vita, ne prendono le distanze, trattandoli con il distacco della neutralità documentaria o dell’ironia. Le artiste invece mostrano multiformi capacità di interpretare il contraddittorio rapporto con l’ambiente domestico, stratificato, ambiguo e in fondo nutrito di finzioni.

Bell Hooks ricorda che è dentro le case che si produce tutto ciò che conta nella vita. Il calore e la pace di un luogo dove sentirsi al sicuro, cibo per i nostri corpi, nutrimento per le nostre anime. Luoghi dove ritornare più facilmente se stessi, luoghi che permettano ad ognuno di guarire e recuperare la propria integrità. Silenzio, solitudine e meditazione... L'intera stanza è uno spa­zio che va creato, uno spazio che può riflettere bellezza, pace, l'armonia dell'essere, un'estetica dell'anima.

 Dunque voglio ribadire che esiste uno sguardo femminile nell’arte contemporanea: se tradizionalmente il senso estetico comunemente inteso come “femminile” atteneva all’armonioso, il delicato, l’avvicinabile e l’amabile, oggi si tratta di  un nuovo modo di pensare se stesse e il mondo circostante:  riflettere su ciò che è vero con il coraggio dell’osservazione diretta, senza filtri, di se stesse e della propria vita, usando i materiali della quotidianità immediata per andare oltre la superficie dell’esperienza, riconquistare la dimensione emozionale, rivalutando momenti e temi che l’esperienza femminista più radicale degli Anni Sessanta e Settanta aveva per forze di cose dovuto censurare, perché proprio su di essi poggiava il ruolo tradizionale della donna. Parlo ad esempio della cura dei figli o del mondo infantile, alla cui indagine più d’un artista d’avanguardia può dedicarsi oggi con forza, senza rischiare accuse di sentimentalismo o tradizionalismo, in quanto nella percezione del reale, nella sostanza dell’esistenza, non vengono istituite indebite classificazioni, separando ciò che è piccolo, e dunque indegno d’attenzione, da argomenti più importante, più alti.

Anche nella mia esperienza personale ci sono stanze dipinte e narrate, stanze reali e insieme stanze del cuore e della mente, abitate da un universo di donne, uomini, bambini, animali e oggetti. Solitudini monologanti che, nella meditazione e  nel dubbio, tessono tuttavia i fili dei loro rapporti con gli altri esseri. I disegni sono raccolti nel libro Il cuore è servito, che contiene anche brevi racconti e meditazioni.

 

 

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