PUBBLICATO IN  La falce della luna, aprile 2006

Da bambine

Maria Lenti

Raccontarsi, nei giorni da bambina fino al primo gradino dell’adolescenza, con la voce, gli almanaccamenti, le sorprese e le conferme di allora, di un tempo per raggiungere il quale bisogna togliere di mezzo coscienza e consapevolezze e il periscopio usato in seguito per entrare in quegli anni abissali per distanza. (La coscienza e il periscopio, per esempio di Menzogna e sortilegio di Elsa Morante o di Anna Maria Ortese ne Il mare non bagna Napoli).

Una strada asciutta, dunque,  ripercorsa da Luana Trapè, sull’onda, ancora lunga, iniziata dalle donne anche in Italia, nei decenni femministi (o non femministi: Dolores Prato, per esempio, di Giù la piazza non c’è nessuno. E siamo in zona geografica)  del secondo novecento, per vedere la propria crescita senza gli occhi degli altri, poetici o mitici o prosaici e disperati che potessero essere, e al di fuori di un canale pur bello ma esterno rispetto al cammino a ritroso fatto per sentirsi  come  si era e con quali cose si sia diventate grandi. (Una  vasta bibliografia in Passaggi. Letterature comparate al femminile, a cura di Liana Borghi, QuattroVenti, 2001).  

Nel tratto narrativo di tante vite di donne ricostruite dalle donne stesse, si è insinuata, occupandolo, l’insidia della sottrazione del respiro che ogni infanzia - bella o brutta, normale o anomala, allegra o, nel ricordo, tristissima che possa essere stata -  ha avuto: così, riportati all’essenza del sé, quei giorni  senza veli e senza incartamenti (o incantamenti) hanno lasciato alone e pathos. Alla distanza, almeno, si avverte la maglia stretta delle narrazioni delle cose come sono accadute... o come si pensa che siano accadute. Passo necessario, benché la necessità  abbia portato secchezza del racconto.

Luana Trapè riprende, nel suo Da bambine,  questa modalità, divertendosi a ricostruire una vita (la sua, o di una qualsiasi bambina nata sul finire degli anni quaranta) tra le giornate piene di episodi e di avvenimenti, tra casa e scuola,  cibi e canzoni di Sanremo, materie scolastiche e scoperte del proprio corpo: annullando, nel recupero della chiarità, lo spazio tra pensiero e immagine (nella narrazione, s’intende).

Da bambine fila diritto segnandosi in quadri-capitoli o sequenze temporali: Silvia -  seguita in terza persona  e nei tempi canonici (imperfetto, passato remoto) del racconto -  entra  nella scuola elementare, ha le sue amicizie, fa le scoperte in famiglia e fuori. Tranquilla sentimentalmente ma vigile. Non docile. Di una indocilità, tuttavia, che passa più nel rimuginare, e si deposita in acquisizione di distanza, piuttosto che nel gesto eclatante. Si prepara, cioè, a ricercare autonomia e senso di sé al di fuori della trasgressione e della disobbedienza, perché il cammino dell’infanzia lei lo ha solcato e lo percorre  dentro (le cose) e fuori di esse, più che pestando i piedi, ragionando e via via giocando le situazioni e spesso doppiandole. 

I giorni e le cose dei giorni, le sue e degli altri, sono tante: Silvia le incamera o le rifiuta, fino alla fine della terza media, vista anche come soglia dell’adolescenza, quando comincerà in punta di penna a ricercare  la sua identità nella relazione tra lei e l’esteriorità che la contorna o l’eredità dei dati. La prima consapevole riflessione si fionda sul proprio cognome, sulla sua etimologia, ossia sull’origine e la radice… E scatta un’apertura anche narrativa in quell’aprirsi - è la prima volta - all’interrogazione profonda.  Da bambine si chiude, l’infanzia anche. Ma non è, per fortuna, un epicedio.

                                  

Urbino marzo 2006


 

 PUBBLICATO IN  La Rinascita della sinistra 7/7/2006

 

ATTRAVERSO L'INFANZIA DI SILVIA
L'AUTRICE CI FA SCOPRIRE IL PESO DELLE PAURE
E DELLE FALSE CONVENZIONI NELLA VITA QUOTIDIANA DI UNA BIMBA

DIEGO ZANDEL

 

Apparentemente Da bambine di Luana Trapè è un libro di racconti. In realtà, in sottotraccia, è un romanzo composto di tanti capitoli, ciascuno dei quali è chiuso nella forma del racconto. La linea di continuità, in questo caso, non è data dallo svolgersi di una trama unica, bensì di tanti pezzi di un puzzle che, composti, consegnano al lettore una singolare unità narrativa. Protagonista è Silvia, una bambina colta in quell'età di passaggio tra l'infanzia e l'adolescenza durante la quale i timori infantili si incontrano con un mondo che ci sfida a diventare grandi, affrontando una dietro l'altra tante prove. È il racconto di queste prove che diventa il libro della Trapè, all'insegna esclusiva della condizione femminile, ovvero della presa di coscienza di questa nel rapporto con la realtà che la circonda. Da bambine, in questo senso, va inteso come un titolo programmatico.

Si aggiunga la notazione non solo ambientale, ma anche sociale, che l'universo in cui Silvia si muove è la provincia, in cui c'è un paese e c'è una città lontana vissuta come mito, come alternativa a una vita altrimenti chiusa in un picco­o mondo antico, con le sue figure famigliari, genitori, fratellino (con già i suoi privilegi maschili), zii e zie, un vicinato bigotto e ricco di pregiudizi, che l'autrice dipinge con tratti di tenerezza, un pizzico di nostalgia e, soprattutto, giusta ironia. L'aiuta in ciò una memoria prodigiosa, che valorizza dettagli che danno grande verità al racconto, e una scrittura lieve ed evocativa in grado di tirar fuori tutti i topoi delle paure e il peso delle false convenzioni che una bambina deve superare per affrancarsi dal disagio della sua condizione sessuale.

È  chiaro che Luana Trapè usa la chiave di una presa di coscienza più tarda, ma la sua abilità sta proprio nel saperla riproporre con autenticità all'interno del processo narrativo. Ad esempio, la nascita del fratellino che usurpa a Silvia il posto di reginetta e la responsabilità che le viene affidata (non solo perché più grande ma, appunto, perché femmina) nell'accudirlo, assume un significato che va oltre la rievocazione del racconto; le gambe che la piccola Silvia viene indotta, con vergogna, a mostrare a scuola assurgono a simbolo di un pudore da difendere di fronte alle provocazioni maschili; le preghiere o la ritualità di certi gesti vengono compiuti non per devozione, ma solo a protezione dal rischio di ipotetici peccati e per paura di chissà quali terribili conseguenze, e così via. "Nascondere: ecco l'obbligo più pesante della vita quotidiana", leggiamo a un certo punto. "Ogni cosa che ameresti fare è proibita: privarsi di ogni piacere è dura legge della vita. Perciò ci sono due alternative: rinunciare, oppure impedire che le tue imprese vengano alla luce, inventando imbrogli con gravi rimorsi che galoppano nella coscienza sporca. Le bugie sono in un certo senso le fodere delle cattive azioni". Una prigione morale nella quale Silvia vive di fronte agli aspetti più banali e dalla quale solo un lungo percorso dentro se stessi può riuscire a liberarci. Tutto ciò si afferra nel fluire di storie subliminali che hanno la leggerezza delle epifanie. Incontriamo Silvia che ha otto anni e la lasciamo, con l'ultimo racconto Se potessi scegliere il mio nome, in terza media, quando ha la prima mestruazione e lei pensa di star per morire, con tutto quel sangue che bagna le lenzuola, e invece scopre di essere diventata donna. Può sembrare una conquista. Invece, quel sangue, e i dolori che si porta e si ripeteranno, come le dice la madre, "una volta al mese per cinque giorni finché sarai vecchia", saranno il simbolo più evidente di una diversità dalla quale Silvia si chiede come affrancarsi. "Piangere fino a formare un fiume e lì dentro tuffarsi lasciandosi trascinare dalla leggerezza dell'acqua, invece che portare a fatica per il mondo e per l'intera vita il proprio corpo, un fardello troppo greve per la sua mancanza di grazia. Oppure indurirsi, non volere bene a nessuno, non pensare mai all'amore. Realizzarsi in un altro modo". Ma se Luana Trapè ha dato a Silvia i suoi pensieri di bambina, oggi che è grande, ha amato, è impegnata politicamente, e ha scritto dei libri (l'ultimo, prima di questi racconti, Sulla civetteria con Joyce Lussu per le edizioni Voland), sappiamo che il destino intrapreso è stato un altro, non previsto. Sicuramente più fecondo, per lei e per tutti noi che la leggiamo.

Roma, 2006


 

 

2007

 

Giocondo Rongoni

 

Da bambine

 

 

Il cuore è servito  è del 1999. Chiude il secolo, mentre Da bambine lo riapre nel suo spazio vitale.  E’ il cuore dell’autrice, in forma di ex voto, d’argento. Una cosa preziosa, soprattutto perché  ad ogni pagina del racconto breve si affianca un disegno.

Da bambini:  il punto di vista (di un gatto) di un  bambino. Talvolta. L’infanzia:   Sulla soglia…Quotidiana.

Da bambine reca in esergo, quarta di copertina: ombre, bautta e schermo… da ombre a ombre. Ecco che si disvela la bautta, la maschera. Trattandosi di bambina, la mascherina. Evocata sin dalle prime pagine (ma anche dal racconto precedente) è, verosimilmente, quella di Mafalda, il personaggio di Joaquìn Salvador Lavado, in arte Quino (anche le donne di alcune tavole del coetaneo, conterraneo disegnatore argentino, Guillermo Mordillo. In una, per esempio, lei tiene in equilibrio con le  braccia e le gambe le attività del gruppo-famiglia… una performance circense … quotidiana!).

La bambina che protesta, contesta il mondo degli adulti con ragionamenti (rimuginamenti, almanaccamenti - come li chiama Maria Lenti - ) non insolente, ma neanche supina:  non mi pare giusto, non mi sta bene e lo dico forte, qualche volta lo grido, vedi Meditazione (viene da pensare alla potente raffigurazione di Joyce Lussu nella  poesia Nunziata Bartolacci  che però è ormai adulta e ha a carico un marito e un figlio perfettamente “estranei” per non dire altro, la donna-anello forte come l’ha de-scritta Nuto Revelli…).

La bambina parla con tanta orgogliosa sicurezza,  nel disegno sta in un suo habitat naturale anche adulto, un’aula di scuola. E’ una lettrice eccezionale: case fatte di libri, altro che marzapane! E il santino preferito, San Girolamo, dottore della Chiesa con tanti libri intorno (per la parte del  leone  può bastare il gatto…). La befana di 19 libri, più quelli in circolazione… Del resto nella scuola ci abita anche, è figlia di due maestri… sua madre è stata lettrice forte pure lei; nell’armadio s’andava a nascondere per leggere in tutta tranquillità…

Con l’eco, le impressioni del testo,  in letteratura il salto è grosso :  si potrebbe andare a parare addirittura alla fine dell’800 con Claudine à l’école, ovviamente senza la malizia e lo scandalo di Colette.

Convalescente in Bretagna,  nel 1894 Colette comincia a scrivere dei suoi ricordi di scuola. L’anno successivo va a visitarla insieme al marito questa vecchia scuola in Borgogna,  e tre anni dopo comincia la saga Claudine à l’école, Claudine à Paris…

Nello stesso periodo, 1895, esce in Inghilterra The Golden Age,  un classico di Kenneth Grahame, l’autore del più conosciuto “Il vento tra i salici”. L’età d’oro, ovviamente quella dell’infanzia, del gioco, degli adulti che appaiono ai ragazzi come abitatori dell’Olimpo, tanto sono lontani, incomprensibili… Non capiscono le loro corse nei campi, l’arrampicarsi sugli alberi, la caccia a lucertole e lombrichi…tutte cose proibite... Nel racconto di Luana Trapè c’è La Cosa Proibitissima, il Gioco Vietato… con la maiuscola perché si tratta  di cose assai gravi… poi alla sera cosa gli racconti all’Angelo Custode ? Queste maiuscole applicate ad arte richiamano un altro libro “per ragazzi”, Kim di Rudyard Kipling, 1901. (Nel 1895 scriveva il secondo libro della jungla). Il Grande Gioco, il controspionaggio inglese in India. La Grande Ruota , la vita del santone in viaggio con Kim ), La Casa delle Meraviglie,  (il museo di Latore, come pure  il negozio di Lurgan Sahib dove Kim viene istruito per il Grande Gioco). 

Per Luana lo spaccio del paese: cassetti verdi con le finestrelle di vetro  e le strane forme della pasta come in fondo all’oceano… carta paglia e sardelle… Così, alla fine del libro La Grande Rivelazione e, in corso d’opera: Discorsi Da Grandi  e  Le Calze di Nylon. Ragazze che crescono. Dall’isola di Samo, dove è ambientata La Tigre in vetrina di Alki Zei, alla Torino del  Lessico Famigliare di Natalia Levi  Ginzburg. E a Treia, Macerata,  matura quello di Dolores Prato: Giù la piazza non c’è nessuno (nel caso di Luana Trapè, su la piazza) e più ancora ne Le Parole. La sua “educazione sentimentale” nella sua famiglia particolare (uno zio prete, una zia nubile e una domestica che parla in dialetto, mentre nel collegio delle suore si nega tutto il lessico acquisito…). Così non è per Antonietta Langiu (Sa contra e Sas paraulas) che  può conservare tutta la sua eredità sarda anche nel paese ospitante, Sant’Elpidio a Mare (dove Rossana Cifola scrive dei suoi Faori  -i focaroni della Venuta - dell’infanzia … Da bambina mai una bambola)…

Il paese dell’infanzia. Malo,  provincia di Vicenza. il paese d’origine di Luigi Meneghello, comparso nelle patrie lettere dopo quarant’anni di insegnamento in Inghilterra, (Università di Reading); recentemente consacrato nei Meridiani Mondadori, quindi un nuovo classico:    Libera nos a  Malo.                                                                       

Come “liberarsi” di un paese, raccontandolo.  Complemento di allontanamento, ma non di separazione. Memoria, rivisitazione, risvolti di vita quotidiana con un sapientissimo impasto linguistico: dialetto natio intrecciato alla lingua, idiotismi, espressioni idiomatiche, modi di dire particolari.

Un paese, un castello e sotto, il Borgo. La piazza-castello, una vasta platea- platèa digradante,  quasi un teatro. Un paese,  un paesaggio.  Un paesaggio abitato, quindi, con figure. Per esempio la misteriosa Signora Greca; il suicidio del figlio come un incubo, una sorta di film dell’orrore… Grazia, la nipote del prete che frequenta il Caffè degli uomini, quasi la trama di certi film classificati, impropriamente, commedia all’italiana.

Un paese, una scuola di paese, di quelle dove il maestro abita (di solito è una casa d’occasione, nel nostro caso è un edificio importante, l’attuale Municipio).

Se ci si porta in faccia del sito, per un  sopralluogo, si possono ri-conoscere  i luoghi di questa geografia familiare: l’acqua alla fonte con le brocche, Fonte Mania e avanti nella ricca toponomastica delle belle contrade. Contrada Selva, l’Ate morto* che si forma da due Rii… Contrada Sole,  Le Strolleche (sito geografico… personificato). I compagni di campagna che fanno kilometri per arrivare a scuola; colletto bianco e fiocco rosso (prima del tempo delle mamme-taxi) e quel benedetto pennino che macchia i quaderni e la … fedina scolastica degli alunni. Il libro di lettura unico medium tra te e il mondo. Il maestro, una sorta di  demiurgo, per qualcuno nume tutelare, per altri un orco, giudice infernale: non si dice dottrina, si dice catechismo, l’ostetrica è la levatrice, non l’allevatrice… questioni di … lingua madre. E però c’è la vocazione a leggere, a scrivere: Beati i librai…stanze con le pareti fatte di libri.

In tanti veniamo da un paese, da una scuoletta di paese… come l’autrice-levatrice, Silvia nella narrazione. Silvia, la figlia che si racconta, ha il pianoforte, machina insolita per il paese, per i maschi che hanno i loro giochi (hai voglia a suonare la Barcarola, “marmaglia cenciosa”,  per loro ci vuol altro!)…

Poi,  quando lei con l’altra machina della storia  (la 600 Fiat) passa alle medie, nella Città degli studi, altri  scenari, altri personaggi, altre situazioni. E’ un’altra stagione. Si va verso la Grande Rivelazione, quando l’infanzia è ormai finita nella cassapanca insieme al libro di lettura con il Nonno Inverno, la carrozzina-carrozzone del fratellino, l’ombrello con la paperetta (che per la verità non è mai passato di moda), la scuola con la scaletta…la rassegna ragionata dei Santi: San Giorgio, eroico. San Lorenzo, sarà peccato guardarlo (e sarà peccato chiamarlo San Lorenzo… in graticola,  come da icona del suo martirio ?)

Si va al cinema. Domenica d’agosto esiste veramente. Tutti al mare… a Ostia, regista  Luciano Emmer al suo esordio (1950). A Fermo il mare si vede anche dalla terrazza della casa sul Corso, oltre le colline. E proprio sotto casa c’è la scuola delle incomprensioni; come per il tema sull’emigrazione in Argentina, dove un Rio è un fiume grandissimo, mentre da noi è poco più di un fosso. Ma ci sono anche questioni per i cioccolatini e le calze di nylon, per l’incredibile esistenza di tante ragazze che vanno a spasso senza i genitori. Fino alla Grande Rivelazione delle “regole”, un rito d’iniziazione con la nonna  sacerdotessa.

Con un gran balzo, avanti nel tempo e indietro nella scrittura, si potrebbe riprendere in mano l’ex voto de Il cuore è servito (a chi,  a che cosa?). Che non sia proprio la scrittura a rendere sostenibile  la comune pesantezza  di Quotidiana ?

 

 

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