Da bambine
Maria Lenti
Raccontarsi, nei giorni da bambina fino al primo gradino
dell’adolescenza, con la voce, gli almanaccamenti, le sorprese e le
conferme di allora, di un tempo per raggiungere il quale bisogna
togliere di mezzo coscienza e consapevolezze e il periscopio usato in
seguito per entrare in quegli anni abissali per distanza. (La coscienza e
il periscopio, per esempio di Menzogna e sortilegio di Elsa Morante
o di Anna Maria Ortese ne Il mare non bagna Napoli).
Una strada asciutta, dunque, ripercorsa da Luana Trapè,
sull’onda, ancora lunga, iniziata dalle donne anche in Italia, nei decenni
femministi (o non femministi: Dolores Prato, per esempio, di
Giù la piazza non c’è nessuno. E siamo in zona geografica) del
secondo novecento, per vedere la propria crescita senza gli occhi
degli altri, poetici o mitici o prosaici e disperati che potessero essere,
e al di fuori di un canale pur bello ma esterno rispetto al cammino a
ritroso fatto per sentirsi come si era e con quali cose si
sia diventate grandi. (Una vasta bibliografia in Passaggi. Letterature
comparate al femminile, a cura di Liana Borghi, QuattroVenti, 2001).
Nel tratto narrativo di tante vite di donne ricostruite
dalle donne stesse, si è insinuata, occupandolo, l’insidia della
sottrazione del respiro che ogni infanzia - bella o brutta, normale o
anomala, allegra o, nel ricordo, tristissima che possa essere stata - ha
avuto: così, riportati all’essenza del sé, quei giorni senza veli
e senza incartamenti (o incantamenti) hanno lasciato alone e pathos. Alla
distanza, almeno, si avverte la maglia stretta delle narrazioni delle cose
come sono accadute... o come si pensa che siano accadute. Passo
necessario, benché la necessità abbia portato secchezza del racconto.
Luana Trapè riprende, nel suo Da bambine, questa
modalità, divertendosi a ricostruire una vita (la sua, o di una qualsiasi
bambina nata sul finire degli anni quaranta) tra le giornate piene di
episodi e di avvenimenti, tra casa e scuola, cibi e canzoni di Sanremo,
materie scolastiche e scoperte del proprio corpo: annullando, nel recupero
della chiarità, lo spazio tra pensiero e immagine (nella narrazione,
s’intende).
Da bambine fila diritto
segnandosi in quadri-capitoli o sequenze temporali: Silvia - seguita in
terza persona e nei tempi canonici (imperfetto, passato remoto) del
racconto - entra nella scuola elementare, ha le sue amicizie, fa le
scoperte in famiglia e fuori. Tranquilla sentimentalmente ma vigile. Non
docile. Di una indocilità, tuttavia, che passa più nel rimuginare, e si
deposita in acquisizione di distanza, piuttosto che nel gesto eclatante.
Si prepara, cioè, a ricercare autonomia e senso di sé al di fuori della
trasgressione e della disobbedienza, perché il cammino dell’infanzia lei
lo ha solcato e lo percorre dentro (le cose) e fuori di esse, più che
pestando i piedi, ragionando e via via giocando le situazioni e spesso
doppiandole.
I giorni e le cose dei giorni, le sue e degli altri, sono
tante: Silvia le incamera o le rifiuta, fino alla fine della terza media,
vista anche come soglia dell’adolescenza, quando comincerà in punta di
penna a ricercare la sua identità nella relazione tra lei e l’esteriorità
che la contorna o l’eredità dei dati. La prima consapevole riflessione si
fionda sul proprio cognome, sulla sua etimologia, ossia sull’origine e la
radice… E scatta un’apertura anche narrativa in quell’aprirsi - è la prima
volta - all’interrogazione profonda. Da bambine si chiude,
l’infanzia anche. Ma non è, per fortuna, un epicedio.
Urbino marzo 2006
PUBBLICATO IN La Rinascita
della sinistra
7/7/2006
ATTRAVERSO L'INFANZIA DI SILVIA
L'AUTRICE CI FA SCOPRIRE
IL PESO DELLE PAURE
E DELLE FALSE CONVENZIONI NELLA
VITA QUOTIDIANA DI UNA BIMBA
DIEGO ZANDEL
Apparentemente Da bambine
di Luana Trapè è un libro di racconti. In realtà, in
sottotraccia, è un romanzo composto di tanti capitoli, ciascuno dei quali
è chiuso nella forma del racconto. La linea di continuità, in questo caso,
non è data dallo svolgersi di una trama unica, bensì di tanti pezzi di un
puzzle che, composti, consegnano al lettore una singolare unità narrativa.
Protagonista è Silvia, una bambina colta in quell'età di passaggio tra
l'infanzia e l'adolescenza durante la quale i timori infantili si
incontrano con un mondo che ci sfida a diventare grandi, affrontando una
dietro l'altra tante prove. È il racconto di queste prove che diventa il
libro della Trapè, all'insegna esclusiva della condizione femminile,
ovvero della presa di coscienza di questa nel rapporto con la realtà che
la circonda. Da bambine,
in questo senso, va inteso come un titolo programmatico.
Si aggiunga la notazione non solo ambientale, ma anche
sociale, che l'universo in cui Silvia si muove è la provincia, in cui c'è
un paese e c'è una città lontana vissuta come mito, come alternativa a una
vita altrimenti chiusa in un piccoo mondo antico, con le sue figure
famigliari, genitori, fratellino (con già i suoi privilegi maschili), zii
e zie, un vicinato bigotto e ricco di pregiudizi, che l'autrice dipinge
con tratti di tenerezza, un pizzico di nostalgia e, soprattutto, giusta
ironia. L'aiuta in ciò una memoria prodigiosa, che valorizza dettagli che
danno grande verità al racconto, e una scrittura lieve ed evocativa in
grado di tirar fuori tutti i topoi delle paure e il peso delle
false convenzioni che una bambina deve superare per affrancarsi dal
disagio della sua condizione sessuale.
È chiaro che Luana Trapè usa la chiave di una presa di
coscienza più tarda, ma la sua abilità sta proprio nel saperla riproporre
con autenticità all'interno del processo narrativo. Ad esempio, la nascita
del fratellino che usurpa a Silvia il posto di reginetta e la
responsabilità che le viene affidata (non solo perché più grande ma,
appunto, perché femmina) nell'accudirlo, assume un significato che va
oltre la rievocazione del racconto; le gambe che la piccola Silvia viene
indotta, con vergogna, a mostrare a scuola assurgono a simbolo di un
pudore da difendere di fronte alle provocazioni maschili; le preghiere o
la ritualità di certi gesti vengono compiuti non per devozione, ma solo a
protezione dal rischio di ipotetici peccati e per paura di chissà quali
terribili conseguenze, e così via. "Nascondere: ecco l'obbligo più pesante
della vita quotidiana", leggiamo a un certo punto. "Ogni cosa che ameresti
fare è proibita: privarsi di ogni piacere è dura legge della vita. Perciò
ci sono due alternative: rinunciare, oppure impedire che le tue imprese
vengano alla luce, inventando imbrogli con gravi rimorsi che galoppano
nella coscienza sporca. Le bugie sono in un certo senso le fodere delle
cattive azioni". Una prigione morale nella quale Silvia vive di fronte
agli aspetti più banali e dalla quale solo un lungo percorso dentro se
stessi può riuscire a liberarci. Tutto ciò si afferra nel fluire di storie
subliminali che hanno la leggerezza delle epifanie. Incontriamo Silvia che
ha otto anni e la lasciamo, con l'ultimo racconto Se potessi scegliere
il mio nome, in terza media, quando ha la prima mestruazione e lei
pensa di star per morire, con tutto quel sangue che bagna le lenzuola, e
invece scopre di essere diventata donna. Può sembrare una conquista.
Invece, quel sangue, e i dolori che si porta e si ripeteranno, come le
dice la madre, "una volta al mese per cinque giorni finché sarai vecchia",
saranno il simbolo più evidente di una diversità dalla quale Silvia si
chiede come affrancarsi. "Piangere fino a formare un fiume e lì dentro
tuffarsi lasciandosi trascinare dalla leggerezza dell'acqua, invece che
portare a fatica per il mondo e per l'intera vita il proprio corpo, un
fardello troppo greve per la sua mancanza di grazia. Oppure indurirsi, non
volere bene a nessuno, non pensare mai all'amore. Realizzarsi in un altro
modo". Ma se Luana Trapè ha dato a Silvia i suoi pensieri di bambina, oggi
che è grande, ha amato, è impegnata politicamente, e ha scritto dei libri
(l'ultimo, prima di questi racconti, Sulla civetteria con Joyce
Lussu per le edizioni Voland), sappiamo che il destino intrapreso è stato
un altro, non previsto. Sicuramente più fecondo, per lei e per tutti noi
che la leggiamo.
Roma, 2006
2007
Giocondo Rongoni
Da bambine
Il cuore è servito è del
1999. Chiude il secolo, mentre Da bambine lo riapre nel
suo spazio vitale. E’ il cuore dell’autrice, in forma di ex voto,
d’argento. Una cosa preziosa, soprattutto perché ad ogni pagina del
racconto breve si affianca un disegno.
Da bambini: il punto di
vista (di un gatto) di un bambino. Talvolta. L’infanzia: Sulla soglia…Quotidiana.
Da bambine reca in esergo,
quarta di copertina: ombre, bautta e schermo… da ombre a
ombre. Ecco che si disvela la bautta, la maschera. Trattandosi di
bambina, la mascherina. Evocata sin dalle prime pagine (ma anche dal
racconto precedente) è, verosimilmente, quella di Mafalda, il
personaggio di Joaquìn Salvador Lavado, in arte Quino (anche le donne
di alcune tavole del coetaneo, conterraneo disegnatore argentino,
Guillermo Mordillo. In una, per esempio, lei tiene in equilibrio con
le braccia e le gambe le attività del gruppo-famiglia… una
performance circense … quotidiana!).
La bambina che protesta, contesta il mondo degli adulti
con ragionamenti (rimuginamenti, almanaccamenti - come li chiama Maria
Lenti - ) non insolente, ma neanche supina: non mi pare giusto, non
mi sta bene e lo dico forte, qualche volta lo grido, vedi
Meditazione (viene da pensare alla potente raffigurazione di Joyce
Lussu nella poesia Nunziata Bartolacci che però è ormai
adulta e ha a carico un marito e un figlio perfettamente “estranei”
per non dire altro, la donna-anello forte come l’ha de-scritta Nuto
Revelli…).
La bambina parla con tanta orgogliosa sicurezza, nel
disegno sta in un suo habitat naturale anche adulto, un’aula di
scuola. E’ una lettrice eccezionale: case fatte di libri, altro che
marzapane! E il santino preferito, San Girolamo, dottore della Chiesa
con tanti libri intorno (per la parte del leone può bastare il
gatto…). La befana di 19 libri, più quelli in circolazione… Del
resto nella scuola ci abita anche, è figlia di due maestri… sua madre
è stata lettrice forte pure lei; nell’armadio s’andava a nascondere
per leggere in tutta tranquillità…
Con l’eco, le impressioni del testo, in letteratura il
salto è grosso : si potrebbe andare a parare addirittura alla fine
dell’800 con Claudine à l’école, ovviamente senza la malizia e
lo scandalo di Colette.
Convalescente in Bretagna, nel 1894 Colette comincia a
scrivere dei suoi ricordi di scuola. L’anno successivo va a visitarla
insieme al marito questa vecchia scuola in Borgogna, e tre anni dopo
comincia la saga Claudine à l’école, Claudine à Paris…
Nello stesso periodo, 1895, esce in Inghilterra The
Golden Age, un classico di Kenneth Grahame, l’autore del più
conosciuto “Il vento tra i salici”. L’età d’oro, ovviamente quella
dell’infanzia, del gioco, degli adulti che appaiono ai ragazzi come
abitatori dell’Olimpo, tanto sono lontani, incomprensibili… Non
capiscono le loro corse nei campi, l’arrampicarsi sugli alberi,
la caccia a lucertole e lombrichi…tutte cose proibite... Nel racconto
di Luana Trapè c’è La Cosa Proibitissima, il Gioco Vietato… con
la maiuscola perché si tratta di cose assai gravi… poi alla sera cosa
gli racconti all’Angelo Custode ? Queste maiuscole applicate ad arte
richiamano un altro libro “per ragazzi”, Kim di Rudyard
Kipling, 1901. (Nel 1895 scriveva il secondo libro della jungla). Il
Grande Gioco, il controspionaggio inglese in India. La Grande Ruota ,
la vita del santone in viaggio con Kim ), La Casa delle Meraviglie,
(il museo di Latore, come pure il negozio di Lurgan Sahib dove Kim
viene istruito per il Grande Gioco).
Per Luana lo spaccio del paese: cassetti verdi con
le finestrelle di vetro e le strane forme della pasta come in
fondo all’oceano… carta paglia e sardelle… Così, alla fine del
libro La Grande Rivelazione e, in corso d’opera: Discorsi Da
Grandi e Le Calze di Nylon. Ragazze che crescono.
Dall’isola di Samo, dove è ambientata La Tigre in vetrina di
Alki Zei, alla Torino del Lessico Famigliare di Natalia Levi
Ginzburg. E a Treia, Macerata, matura quello di Dolores Prato: Giù
la piazza non c’è nessuno (nel caso di Luana Trapè, su la piazza)
e più ancora ne Le Parole. La sua “educazione sentimentale”
nella sua famiglia particolare (uno zio prete, una zia nubile e una
domestica che parla in dialetto, mentre nel collegio delle suore si
nega tutto il lessico acquisito…). Così non è per Antonietta Langiu
(Sa contra e Sas paraulas) che può conservare tutta la sua
eredità sarda anche nel paese ospitante, Sant’Elpidio a Mare (dove
Rossana Cifola scrive dei suoi Faori -i focaroni della
Venuta - dell’infanzia … Da bambina mai una bambola)…
Il paese dell’infanzia. Malo, provincia di Vicenza. il
paese d’origine di Luigi Meneghello, comparso nelle patrie lettere
dopo quarant’anni di insegnamento in Inghilterra, (Università di
Reading); recentemente consacrato nei Meridiani Mondadori, quindi un
nuovo classico: Libera nos a
Malo.
Come “liberarsi” di un paese, raccontandolo.
Complemento di allontanamento, ma non di separazione. Memoria,
rivisitazione, risvolti di vita quotidiana con un sapientissimo
impasto linguistico: dialetto natio intrecciato alla lingua,
idiotismi, espressioni idiomatiche, modi di dire particolari.
Un paese, un castello e sotto, il Borgo. La
piazza-castello, una vasta platea- platèa digradante, quasi un
teatro. Un paese, un paesaggio. Un paesaggio abitato, quindi, con
figure. Per esempio la misteriosa Signora Greca; il suicidio del
figlio come un incubo, una sorta di film dell’orrore… Grazia, la
nipote del prete che frequenta il Caffè degli uomini, quasi la trama
di certi film classificati, impropriamente, commedia all’italiana.
Un paese, una scuola di paese, di quelle dove il
maestro abita (di solito è una casa d’occasione, nel nostro caso è un
edificio importante, l’attuale Municipio).
Se ci si porta in faccia del sito, per un sopralluogo,
si possono ri-conoscere i luoghi di questa geografia familiare:
l’acqua alla fonte con le brocche, Fonte Mania e avanti nella ricca
toponomastica delle belle contrade. Contrada Selva, l’Ate morto* che
si forma da due Rii… Contrada Sole, Le Strolleche (sito
geografico… personificato). I compagni di campagna che fanno kilometri
per arrivare a scuola; colletto bianco e fiocco rosso (prima del tempo
delle mamme-taxi) e quel benedetto pennino che macchia i quaderni e la
… fedina scolastica degli alunni. Il libro di lettura unico medium tra
te e il mondo. Il maestro, una sorta di demiurgo, per qualcuno nume
tutelare, per altri un orco, giudice infernale: non si dice dottrina,
si dice catechismo, l’ostetrica è la levatrice, non l’allevatrice…
questioni di … lingua madre. E però c’è la vocazione a leggere, a
scrivere: Beati i librai…stanze con le pareti
fatte di libri.
In tanti veniamo da un paese, da una scuoletta di
paese… come l’autrice-levatrice, Silvia nella narrazione. Silvia, la
figlia che si racconta, ha il pianoforte, machina insolita per
il paese, per i maschi che hanno i loro giochi (hai voglia a suonare
la Barcarola, “marmaglia cenciosa”, per loro ci vuol altro!)…
Poi, quando lei con l’altra machina della
storia (la 600 Fiat) passa alle medie, nella Città degli
studi, altri scenari, altri personaggi, altre situazioni. E’ un’altra
stagione. Si va verso la Grande Rivelazione, quando l’infanzia è ormai
finita nella cassapanca insieme al libro di lettura con il Nonno
Inverno, la carrozzina-carrozzone del fratellino, l’ombrello con la
paperetta (che per la verità non è mai passato di moda), la scuola con
la scaletta…la rassegna ragionata dei Santi: San Giorgio, eroico. San
Lorenzo, sarà peccato guardarlo (e sarà peccato chiamarlo San Lorenzo…
in graticola, come da icona del suo martirio ?)
Si va al cinema. Domenica d’agosto esiste
veramente. Tutti al mare… a Ostia, regista Luciano Emmer al suo
esordio (1950). A Fermo il mare si vede anche dalla terrazza della
casa sul Corso, oltre le colline. E proprio sotto casa c’è la scuola
delle incomprensioni; come per il tema sull’emigrazione in Argentina,
dove un Rio è un fiume grandissimo, mentre da noi è poco più di un
fosso. Ma ci sono anche questioni per i cioccolatini e le calze di
nylon, per l’incredibile esistenza di tante ragazze che vanno a spasso
senza i genitori. Fino alla Grande Rivelazione delle “regole”, un rito
d’iniziazione con la nonna sacerdotessa.
Con un gran balzo, avanti nel tempo e indietro nella
scrittura, si potrebbe riprendere in mano l’ex voto de Il cuore è
servito (a chi, a che cosa?). Che non sia proprio la scrittura a
rendere sostenibile la comune pesantezza di Quotidiana ?
|
indietro |